lunedì 22 dicembre 2008

.c.e.r.c.o.p.a.r.o.l.e.

anche quest'anno l'ormai famoso concorso riprende vita.. dovevo questo racconto a lui, lui che per tanto tempo mi ha coplito in ogni momento da quando marzio me ne ha parlato.. Jacob. Ecco il mio racconto.. (pubblicato poco fa sul sito!)

Jacob 101
Era nato per credere nell’impossibile. Nell’amore universale.
La sua pelle bianca lasciò di stucco i soldati quando lo trovarono, di ritorno verso casa, nel vicolo fiocamente illuminato. Quasi tratti in inganno gli rivolsero con tono gentile alcune domande, ma quando il bambino parlò, con il suo accento diverso rivelando il proprio nome, gli uomini lo presero saldamente per le braccia portandolo alla stazione.
Per tutto il percorso non gli rivolsero la parola e quando lo lasciarono con il folto gruppo di donne restò immobile nel gelo della sera.
Una donna dai lunghi capelli neri lo avvicinò e senza alcun prevedibile gesto , vedendolo solo, lo abbracciò tenendolo teneramente al petto; così silenziosamente le lacrime scesero copiose.
Il loro treno arrivò dopo poche ore. La mamma di Jacob gli aveva raccontato di alcuni treni: larghi, comodi, veloci e con tanti posti a sedere. Non capiva perché la mamma gli aveva raccontato una bugia: “Su questo treno non c’è nessun posto a sedere, è largo ma siamo in troppi, siamo tutti stretti” pensò. Una cosa positiva c’era, essendo tutti ammassati il freddo piano piano lasciava posto al tepore dei tanti corpi caldi.
Gli altri bambini piangevano, non capiva perché, e le loro mamme non trovavano la forza per consolarli. Una in particolare con il volto rigato da terrore misto a dolore, con una coperta prese a proteggere la figlia stringendola, sempre più decisa, sempre più addolorata, finché il viso della bambina da rosso divenne sempre più pallido e smise di piangere. La madre le chiuse gli occhi con un gesto lento e dolce della mano; Jacob non ebbe mai la possibilità di capire che quella donna non era una madre snaturata, aveva solo strappato ad una vita di dolore il futuro della sua bambina.
Arrivarono in un piccolo paese alla periferia di una grande città e insieme agli altri bambini venne portato in una grande camera stipata di letti di legno e paglia, gli parvero giacigli adatti a galline. Appena il tempo di sedersi in un angolo solitario quando un uomo dal lungo camice bianco entrò nella camera.
Vedendolo i suoi occhi brillarono di luce maliziosa e chiamandolo a sé gli disse: “Tu sei speciale, non devi stare qui, vieni con me” così dicendo gli porse una coperta e lo portò in una stanzetta con due letti vuoti, in quello che doveva essere un ospedale.
Tutti i giorni gli venivano portati tre pasti caldi ed oltre a qualche puntura veniva lasciato stare.
Poi iniziarono strani compiti alla quale doveva sottoporsi: “Dovrai solo aiutarci facendoti fare delle iniezioni, queste potrebbero fare un po’ male Jacob, ma se prometti che farai il bravo, oggi ti farò un regalo: un tatuaggio, per un bambino della tua età è un onore”. Così nel pomeriggio un uomo gli tatuò sul braccio un numero di otto cifre. Gli piaceva il suo tatuaggio, era un numero che non era in grado di leggere, ma sicuramente avrebbe imparato.
Le punture di cui parlava il dottore gli procuravano dolore e gonfiore alle parti del corpo sottoposte; quando il gonfiore non accennava a diminuire i dottori gli praticavano tanti piccoli taglietti, l’uno vicino all’altro, e dopo qualche giorno non rimanevano che le ferite.
I suoi piccoli arti, dalla pelle un tempo bianca come la neve, erano diventati di un terribile grigio chiaro, emaciato dalle torture.
Il ciclo di punture terminò e il dottore gli disse che era arrivato al punto della cura più difficile: sulla pelle malata venivano applicati bendaggi ed impacchi di sostanze che al contatto con l’epidermide gli provocavano inimmaginabile dolore; la pelle venne via insieme alle bende.
“Oggi Jacob le medicazioni te le farà una mia amica, è molto emozionata, perché questa è la sua prima medicazione”.
Jacob accolse con un sorriso pieno di sincerità la donna che tanto tempo prima, alla stazione, lo aveva preso a sé, la donna però non sembrava felice di vederlo, sembrava demoralizzata.
Con gesti tremolanti portò vicino al letto bende e bacile, contenente la medicina. Inciampò in un lenzuolo adagiato a terra ed il bacile cadde sul letto capovolgendosi e inondando il piccolo corpo di Jacob.
Jacob credette di andare a fuoco, sentiva la pelle arricciarsi e bruciare, il dottore subito gli fece una puntura e lui si addormentò.
Sul corpo rimaneva illesa solo la parte finale del tatuaggio, tre cifre, e quando il corpo venne portato in cortile alle fosse, un soldato chiese al dottore chi fosse il bambino morto: “Si chiamava Jacob, Jacob 101” rispose con un luccichio negli occhi.
Andrea Teti _ IV informatica _ I.T.I.S. Giulio Cesare Faccio _ Vercelli

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